Kalamata


Pilos - Kalamata, 50 km.68

Dicono che a Methoni ci sia una fortezza veneziana ed anche una bella spiaggia, andiamo a vedere. Sigfrida è arrivata prima, riconosco la sua moto e il suo asciugamano. Sarà in acqua, parcheggio e mi metto a leggere.

In pratica, dice Plinio in quelle righe che a Kiparissia non riuscivo a capire, la sensibilità e l’ingegno si sono sviluppati di più nei deboli, uomini bianchi o donne che fossero, permettendogli di sopravvivere a condizioni più sfavorevoli.

Cioè: i popoli, adattandosi alle condizioni ambientali disagiate delle terre verso le quali venivano sospinti dai più forti, e le donne, alle condizioni sociali spesso brutali in cui dovevano vivere.

L’ipotesi è suggestiva. Effettivamente Virgilia è una ragazza intelligente. Ma prendiamo la mia scoperta del Rock ’n’ Roll a Corinto: vuoi mettere il modo geniale con cui io ho risolto il mistero con i suoi teneri sforzi di aiutarmi? E come si fa a pensare che i neri, solo perché battono i bianchi in qualunque sport, siano più forti di noi! E' ovvio che siano coincidenze!

Ma ecco qualcosa di interessante su Parissarma: l’infanzia a Samo. Da piccolo non voleva studiare. - Studia, che non sai nulla e domani t’interrogano - gli ripeteva la madre insistente, ma il piccolo niente. Al colloquio coi professori era il solito ritornello: - Potrebbe fare di più, ma non si applica.

Per evitare la bocciatura, i genitori decisero di fargli cambiare istituto, e per non mandarlo troppo lontano, lo iscrissero alla scuola di Metrodoro nella vicina isola di Chio. Metrodoro aveva fama di non essere severo e nessuno ricordava di qualcuno bocciato ai suoi esami. Però, ogni volta che tornava per le vacanze, alla domanda del padre: – E in questo trimestre cosa hai imparato? – Niente! – era la risposta usuale del figlio.

Niente la prima volta, niente la seconda, dopo un po’ di trimestri il padre si seccò: - Che pago a fare la retta se non impari mai niente! Che cosa farai da grande? Basta! - Occorreva cambiare scuola un’altra volta.

Purtroppo le scuole dei dintorni (quelle ioniche) erano tutte scettiche e insegnavano soltanto ad avere dubbi. Ci voleva una decisione drastica: Parissarma sarebbe andato in una scuola italica, dogmatica e pitagorica, così almeno le tabelline le avrebbe imparate. Un’altra interessante coincidenza: pitagorica, come la scuola di Empedocle, il maestro di Quello.

Sigfrida emerge dall’acqua, è andata a nuoto fino all’isolotto di fronte a circa un chilometro dalla spiaggia, io non ci vado perché sto leggendo.
- Come va storia di Parissarma? - mi chiede sdraiandosi sull’asciugamano.
- Bene, qui parla dell’infanzia del filosofo. Pare che non avesse voglia di studiare.
- Come tutti racazzini, tu piaceva studiare?
- No, io studiavo, che scherziamo, mi ricordo tutto. Cantami, o Diva, del Pelide Achille l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei - si toglie il costume - O cavallina storna a Sorrento, qual masso che dal vertice, piovigginando sale - Basta, vado a fare il bagno.

Chissà come, quando esco dall’acqua, attorno a Sigfrida sdraiata ci sono tre gruppi di italiani, otto esemplari in tutto, a prendere il sole, immobili dietro i loro Rayban d’ordinanza. La spiaggia è lunga cinque chilometri, ci saranno in tutto venti persone, com’è che dieci sono qua.

Sigfrida mi sente arrivare, apre gli occhi, - Io scommette questi tutti italiani - si alza, usa un tubo di gomma per togliersi il sale dal corpo e finalmente si infila il costume. Due, i più deboli, sono paonazzi.

- Che dicevi di Pelide Achille? - fa tornando a sdraiarsi accanto a me.
- Niente, per mostrarti che io da ragazzo studiavo, stavo recitando l’inizio dell’Iliade.
- Sì io riconosciuto, ma non sicura tua sapienza, tu ricorda nome di lancia di Achille?
E che, mi vuol fregare nel mio campo: - Sigfrida, lo sanno anche i bambini, che si chiamava Pelia - rispondo con sufficienza.

- Ahò, io era sicuro che ci’avea la Derta HF.
- Ma cche Derta, a quer tempo, no era manco uscita, c’era ancora a Furvia.

Sigfrida ed io preferiamo ignorare l’intervento inopportuno dei due pappagalli, uno alto e l’altro piccolino. - Ma tu sa perché chiamata Pelia? -
Boh, che ne so, ma già! il padre!
- Sarà stata quella del padre, che si chiamava Peleo.
- Errore, chiamata così perché fatta da suo maestro, centauro Chirone, da tronco di frassino di monte Pelio.
- E che ’n ce lo sai che er padre ci’avea a Thema - dice il piccoletto.

Sigfrida si alza in silenzio, si avvicina all’ultimo che ha parlato, è proprio piccolo vicino a lei, lo acchiappa per il collo con una mano, per il costume con l’altra, gli altri sono tutti ammutoliti, lo solleva di peso sopra la testa, si incammina verso il bagnasciuga, entra in mare e lo scaraventa in acqua.

Torna accanto a me, si sdraia e si ritoglie il costume - Adesso voglio dormire poco - dice.
Alla spicciolata, gli italiani raccattano le loro cose e se ne vanno. Io rimango seduto col libro aperto, a leggere non ci provo neanche.

La sera ci fermiamo a Methoni, in un piccolo albergo. La mattina dopo, mentre aspetto la teutonica per la colazione, cerco di riepilogare quello che ho letto: Già da piccolo Parissarma non sapeva nulla, gli studi successivi non fecero che consolidare una dote praticamente innata, che genio!

I Pitagorici provarono a insegnare qualcosa al testone, ma né lui, né il suo compagno di Metaponto impararono mai niente.
Agesarco, sempre pronto a polemizzare, ma mai a studiare, strinse in quel tempo con Parissarma un’amicizia che sarebbe durata oltre il periodo scolastico. Ben presto, infatti, incapaci di recitare perfino la tabellina del 2, vennero cacciati dalla scuola pitagorica di Crotone, e continuarono gli studi, per così dire, in proprio.

La disputa di Palermo, citata in precedenza, non era che un esempio di quello che combinavano: fingendosi sofisti rivali, andavano di città in città a polemizzare, prendendo, a pagamento, le difese di partiti opposti per fare prevalere quello che pagava di più.
Ma la cosa stava durando troppo, ad un certo punto Parissarma ricevette un ultimatum dal padre: non gli avrebbe più mandato una lira se non si fosse laureato alla svelta.

Finalmente Sigfrida è scesa per la colazione. Oggi è rilassata, molto più femminile di ieri, ha persino delle parole gentili per la cameriera. Facciamo amicizia con la coppia del tavolo accanto. Sono italiani, credo che viaggino su una moto da enduro, perché lei non riesce più a raddrizzare le gambe e lui la appollaia amorevolmente su un trespolo per farla stare più comoda. A questa tenera scena Sigfrida si commuove, come se ricordasse episodi di un’infanzia difficile.

Lui mi chiede se può dare un’occhiata alla guida, questa qua. Legge qualche pagina, è come folgorato, legge ancora, è estasiato, un raggio di sole penetrato dalla finestra del tetto lo illumina, si alza in piedi, dice che ha visto la luce, vuole comprare la guida a tutti i costi, comincia a fare dei salti mortali, è come invasato, gli altri commensali gridano: - Ha visto la luce! - e vogliono anche loro comprare la guida a qualunque prezzo. È il momento più esaltante della giornata.

Sigfrida, che intanto si è ripresa, mi dice che questa pubblicità redazionale non se la beve nessuno; ma io non sono d’accordo, se la bevono, non vedi che si bevono di tutto?

Beh, andiamo a Kalamata a gustare le famose olive. Quanti ulivi contorti lungo la strada, contorta quanto loro. Non si può andare molto forte, per lo meno io, dato che Sigfrida l’ho persa di vista subito. Eppure supero un pelato con la barba su di una vecchia Triumph Bonneville, la madre di tutte le motociclette.


La Bonneville del pelato. T120 del 1969.

Emulo di Valentino Rossi, mi piego a 30 all'ora nelle curve della tortuosa strada, spostando anche il sedere di lato, cos’è quella macchia sulla strada? Minchia, olio! Presto, tirare il freno davanti. Manovra perfetta: ruota bloccata, cado sulla destra, mi rotolo sulla schiena e batto la testa, meno male che avevo il casco. Madonna, chissà come si sarà graffiata la moto.

Cade benzina dal carburatore, bisogna rialzarla subito, oh la mia povera moto, non stavo tanto bene in Italia, perché sono venuto fin qui? Tesoro mio, guarda che graffi sul coperchio del cilindro: il paracilindri si è piegato, che l'ho pagato a fare!?

Intanto il pelato mi ha raggiunto e si è fermato a guardarmi. Ma non muove un dito per aiutarmi, invece, sputa dal dente 69 e poi dice: - Niente ti facesti, ma alle volte, per storcere la forcella, basta niente. - Rimette in moto e se ne va.

Le frecce, intatte; il manubrio, idem; strano neanche un graffio, nemmeno sul serbatoio. Sant’Agostino68 ha fatto il miracolo: solo il paracilindri e il coperchio della testata destra sono stati toccati. E la borsa destra mancava, grazie a San Virgilio di Marebbe.

Mi sono graffiato il giubbotto, ma questo è un onore, e si è rotta la cerniera. Mi sono abraso il gomito e il fianco destro: le borchiette dei jeans le mettono lì per entrare nelle carni. Per fortuna questi graffi non costano perché, come dice mia madre, tanto si aggiustano da soli; i peggiori sono gli altri, che bisogna pagarli.

Riprendo l’esame della moto: no, niente segni, quelli della BMW sono riusciti a fare in modo che la moto poggi solo su ruota posteriore, paracilindro e cilindro. Riprendo il viaggio, non è stata una gran caduta: andavo pianissimo. Ma le parole del pelato mi risuonano nel cervello: la moto sembra andare dritta, ma nel fondo del mio cuore si è istallato un orribile dubbio, che la forcella si sia storta.

Raggiungo Sigfrida che si è fermata ad aspettarmi.
- Che è successo?
- Niente, in una curva a 100 all’ora, ho trovato una macchia d’olio e sono caduto.
- Caduto a 100 all’ora e solo graffio su cilindro? - dice, dopo avermi scrutato.
- Sarò stato a 80.
- 80 all’ora su olio e solo un graffio?
- Miihh! Era olio d’oliva, lo sanno tutti che non fa male!

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[68] La strada diretta da Pilos a Kalamata è lunga 50 km e attraversa il dito esterno del Peloponneso. In alternativa si può seguire la costa fino a Methoni (12 km), poi prendere per Evangelismos (8 km), Finikounda (6 km), Akritohori (6 km), Iamia (5 km), Harokopio (5 km), Koroni (5 km). Visto Koroni, se no non c’era motivo di venire fin qua, si ritorna indietro fino a Harokopio, quindi si costeggia verso nord, incontrando: Ag Andreas (7 km), Petalidi (13 km), e la statale 82 (6 km). Da qui Kalamata dista ancora 22 km. In tutto 100 km.

[69] Modo di sputare di lato, da un angolo della bocca, tenendo labbra e denti serrati. Il gesto, tradizionalmente eseguito in Sicilia dagli uomini veri, permette di continuare a fissare negli occhi l’interlocutore durante lo sputo, senza dover girare la testa, interpretabile come manifestazione di debolezza. Purtroppo, il declino dello sputo tout court ha quasi provocato la scomparsa di questa tradizione culturale siciliana.

[70] Apparentemente non il Padre della Chiesa, bensì San Giacomo Agostino, o forse, Sant’Agostino ’o Pazzo.


Pubblicato il 26 novembre 2011; modificato il 12 luglio 2013.

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