Le origini della musica nera

Ah, swing, well, we used to call it syncopation. Then they called it ragtime, then blues, then jazz. Now, it's swing. White folks yo'all sho is a mess! [1] Così rispose Louis Armstrong a Bing Crosby che gli chiedeva di definire lo swing.

Per i neri, swing era semplicemente il nome con cui lo show business chiamava la loro musica in quel momento. Non sarebbe stata l’ultima volta che i bianchi le cambiavano nome.

La nascita di un nuovo genere musicale è, di solito, il risultato della contaminazione tra generi già esistenti, rimasti separati fino a quel momento. È opinione comune che il Rock ‘n’ Roll sia nato dalla fusione tra il Rhythm ‘n’ Blues (R&B) ed il Country & Western (C&W).

All'orecchio però sembra più simile al (R&B) che al (C&W). Perché, in effetti, il Rock ‘n’ Roll è il nome dato negli anni ’50 alla musica nera, in altre parole l’ultima mutazione del ragtime, blues, jazz, swing. O syncopation, come lo chiamavano i neri, fin dalla seconda metà dell’ottocento.

Per capire come nasca la musica “nera” occorre abbozzare un quadro, sia pure grossolano, dell’ambiente del suo concepimento. Negli Stati Uniti l'utilizzo di schiavi neri era la regola fin dal settecento. Nel 1808 l’importazione di schiavi venne formalmente vietata, ma questo non significò la liberazione degli schiavi esistenti, né quella dei loro figli, che continuarono a nascere schiavi, mantenendo alto e stabile il loro numero. Nonostante le spinte degli abolizionisti, il problema del risarcimento dovuto ai proprietari e quello di come espellere gli schiavi liberati avevano bloccato la situazione.

In pratica gli schiavi erano oggetti di proprietà privata, protetta dalla Costituzione degli Stati Uniti. Il V emendamento alla Costituzione: nor shall private property be taken for public use, without just compensation impediva di liberare gli schiavi senza risarcire i padroni del loro valore di mercato. In molti stati gli schiavi erano tantissimi e la somma totale da pagare ai loro proprietari era così alta da impedire di prendere in considerazione una loro eventuale liberazione. Oltre a questo aspetto finanziario, c'era poi il problema di come liberarsi di loro. Per importarli c'era voluto un secolo di traversate atlantiche: per riportarli in Africa non ci sarebbe voluto di meno, e a spese di chi? Perché era chiaro che in America non ce li voleva nessuno, nemmeno gli abolizionisti più accesi.

Allora la società americana era meno strutturata di quella europea. La mentalità indipendente dei coloni e l’avversione all’aristocrazia avevano impedito una stratificazione in "caste" all'europea, in cui le diverse classi condividevano gli stessi spazi fisici, pur essendo separate socialmente. L’attitudine puritana verso le caste “inferiori” era semplice: che non si facessero vedere in giro. Cinesi e latini stessero nei loro ghetti, gl’indiani (i nativi americani) nelle riserve, e gli schiavi neri segregati nelle piantagioni. Una volta liberati, dove sarebbero andati?

In pratica, durante la prima metà del XIX secolo, solo nel nord del paese, dove gli schiavi erano presenti in numero molto limitato, gli Stati riuscirono ad abolire gradualmente la schiavitù. Invece gli Stati del sud, in cui viveva più del 90% dei neri, la mantennero, anche perché era necessaria alla loro economia latifondista.

Quando scoppiò la guerra civile, Lincoln pensò che promettere l’abrogazione avrebbe indebolito gli Stati del sud, sobillando eventuali rivolte di schiavi, e avrebbe facilitato la vittoria completa del Nord, scongiurando il rischio di una divisione degli Stati Uniti, l'unico obiettivo da lui perseguito. [2]

Finita la guerra, la schiavitù venne abolita nel 1865 in tutto il paese (col XIII emendamento alla costituzione) e milioni di afroamericani vennero liberati sconvolgendo lo statu quo sociale. Lincoln, ben cosciente delle potenziali tensioni, organizzò delle deportazioni di massa nei Caraibi, ma riuscì a realizzarle solo in parte. E, nonostante una massiccia esportazione di schiavi verso il Brasile (che continuava a mantenere la schiavitù) e a una sostanziosa emigrazione verso quel paese di parecchi latifondisti americani con le loro "proprietà", il grosso dei neri rimase nel sud degli Stati Uniti, senza più lavoro, né casa.

Nel sud gli afroamericani erano sempre vissuti segregati nelle piantagioni e quindi erano rimasti sostanzialmente isolati dalla cultura e dalla musica dei bianchi. I loro canti non prevedevano la melodia ed i loro strumenti tradizionali erano basati esclusivamente sul ritmo. L'unico contatto con la musica bianca lo avevano avuto in chiesa, attraverso gli spiritual, dei canti religiosi in cui ringraziavano di essere cristiani schiavi, piuttosto che pagani liberi.

Insomma, fino alla guerra di secessione, a parte in alcune piccole comunità nere del Nord, le culture bianche e nere erano rimaste sostanzialmente separate. Con una importante eccezione: la Louisiana.

Fino al 1803 la Louisiana era stata una colonia francese, confinante ad ovest col Texas (allora colonia spagnola). La Louisiana era cattolica ed aveva una legislazione coloniale francese, che in parte mantenne anche quando divenne uno stato dell’Unione. Senza entrare nei dettagli, la stratificazione sociale in Louisiana era molto diversa da quella del resto degli Stati Uniti.

La mentalità religiosa diversa, il riscatto dalla schiavitù abbastanza frequente, la promiscuità tra razze diverse e l’usanza francese di popolare le colonie con le “filles de joie” espulse dalla madre patria, avevano reso la Louisiana un coacervo sociale incomprensibile e pericoloso agli occhi dei puritani americani. Un tipo di società paragonabile a quella dell’antica Roma, in cui cittadini, provinciali, stranieri, schiavi e liberti erano in contatto e dove le diverse culture si influenzavano e contaminavano.

Nel 1840 New Orleans, la sua città principale, era il primo mercato di schiavi degli Stati Uniti ed un centro economico molto importante. Era anche la città in cui si concentrava il maggior numero di bordelli di tutta l’Unione. Come dice la parola, nelle case di piacere ci si andava per divertirsi e naturalmente la musica era un complemento molto apprezzato. Fu in questi locali che i neri, naturalmente dotati, entrarono in contatto con la musica bianca (e con i suoi strumenti musicali) cominciando a suonarla essi stessi. Non è un caso che il Jazz trovi le sue radici proprio a New Orleans.

Nel resto degli Stati Uniti, invece, il contatto con la musica nera fu più limitato e avvenne attraverso un genere teatrale in voga in quegli anni: il Minstrel Show, in cui attori bianchi con la faccia dipinta di nero prendevano in giro gli afro-americani. I neri, ritratti come stupidi, pigri, superstiziosi e inaffidabili suscitavano l’ilarità degli spettatori, suonando la loro musica "primitiva" contrapposta alle "raffinate" melodie dei bianchi. La cosa bizzarra è che, dopo l’abolizione della schiavitù, i Minstrel Show, stavolta interpretati da attori di colore, vennero rappresentati per platee di colore (la segregazione razziale era comunque in vigore), che accorrevano ad applaudire la rappresentazione derisoria di se stesse.

Insomma, i bordelli di New Orleans e i teatri del Mistrel Show furono i luoghi in cui i neri vennero in contatto con la musica amata dai bianchi. Che tipo di musica? Di certo i locali più sofisticati proponevano anche le arie europee alla moda, ma furono soprattutto le canzoni popolari del momento, eseguite nei Minstrel Show, ad avere maggiore presa. Come, ad esempio, Oh! Susanna di Stephen Foster, l’archetipo della canzonetta country.

Ma ci fu un terzo luogo pubblico in cui avvenne la contaminazione: la strada. Andar per strada non costava nulla ed per strada ci passavano tutti, anche le bande musicali che suonavano marce allegre e ritmate, il tipo di musica più apprezzato ed imitabile da chi avesse il ritmo nel sangue. Nella seconda metà dell’Ottocento la musica bandistica americana ebbe un re: John Philip Sousa, un compositore e direttore d’orchestra che surclassò tutti gli altri. Per citarne solo due, sono sue: Stars and Stripes Forever, l'inno nazionale degli Stati Uniti e The Liberty Bell, la sigla scelta dai Monty Phython per i loro telefilm.

Alla fine del diciannovesimo secolo chiese e bordelli, teatri e strade ebbero il compito di mescolare i diversi generi e influenzare i musicisti neri. Tra di essi, un pianista che, sia pure fortunosamente, aveva ricevuto un'educazione musicale formale, Scott Joplin. Tra una suonata in chiesa e una nel bordello Joplin riuscì a fondere la syncopation col romanticismo europeo nel "tempo" di Sousa, componendo alcuni dei pezzi più apprezzati del periodo. Maple Leaf Rag e The Entertainer ci ricordano ancora oggi che era nato il Ragtime, la prima mutazione della syncopation.

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Ascolta, ti vorrei fare una domanda...


Il Rhythm & Blues mette le ali ai piedi.


La vera regina del Country (Elisabetta II).


Istruzioni per battere un nero.


Per battere un bianco, non ce n'è bisogno.


Una via di New Orleans.


The house of the rising sun.


I Minstrels bianconeri.


E quelli neri neri.


Stephen Foster, l'autore di Oh! Susanna.


L'inno, sì certo... ma chi mi ha dato veramente soddisfazione sono stati i Monty Phyton.


Scott Joplin, il padre del Ragtime.


[1] Ah, swing, beh, per noi era il ritmo sincopato. Poi lo hanno chiamato ragtime, poi blues, poi jazz. Ora è swing. Cari bianchi, tutto il vostro show (business) è un casino!

[2] Questo è l’inizio della lettera di Lincoln a Horace Greeley del New York Tribune, in cui spiega la sua posizione politica sulla guerra di secessione: My paramount object in this struggle is to save the Union, and is not either to save or to destroy slavery. If I could save the Union without freeing any slave I would do it, and if I could save it by freeing all the slaves I would do it; and if I could save it by freeing some and leaving others alone I would also do that. What I do about slavery, and the colored race, I do because I believe it helps to save the Union; and what I forbear, I forbear because I do not believe it would help to save the Union.


Pubblicato il 14 gennaio 2014; ultima modifica il 13 gennaio 2021.

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