Erodoto ed Atlantide (bozza)                 English version

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Le Storie di Erodoto sono l'unica fonte, precedente ai dialoghi di Platone, che contenga un riferimento ad Atlantide.

Vissuto mezzo secolo prima di Platone, Erodoto (ca. 485 – ca. 425 a.C.) narra del popolo degli Atlanti che vivevano alle pendici del monte Atlante (Storie, IV, 184 - 185) [1], usando per la prima volta questo nome per designare la catena montuosa dell’Africa settentrionale.

A parte il nome, il popolo ritratto ha poco a che vedere con la complessa società descritta da Platone, ma è anche vero che Erodoto parla di una popolazione dei suoi giorni, che probabilmente non aveva nulla a che fare con quella di novemila anni prima, salvo, forse, abitare nella stessa zona.

Tanto per rinfrescare le cognizioni geografiche del tempo, vale la pena ricordare che nel I libro (202) Erodoto nomina anche il mare Atlantico, con cui indica il moderno oceano oltre le colonne d’Ercole (poste sullo stretto di Gibilterra).

Per i Greci, il mondo conosciuto finiva ad ovest con le colonne d'Ercole. Ma Erodoto sembra saperne di più: secondo lui il mare Atlantico era collegato al mare Eritreo.



Erodoto

Forse attraverso il fiume Oceano che, secondo la credenza allora diffusa, circondava tutte le terre emerse.

L’Egitto secondo Erodoto

Oltre a nominare gli Atlanti, i monti dell'Atlante ed il mare Atlantico (che dai monti prende il nome), Erodoto parla a lungo dell’Egitto. Sull’argomento, la sua narrazione è talmente dettagliata che è difficile pensare che non abbia realmente visitato la regione.

Nel II libro delle Storie (142-144) [2] dice che a Tebe i sacerdoti del tempio di Zeus gli mostrarono personalmente le 341 statue lignee dei sommi sacerdoti che si erano succeduti a capo del tempio (piromi figli di piromi) durante i regni umani d’Egitto. Secondo i calcoli personali di Erodoto, che attribuiva tre generazioni ad ogni secolo, ai tempi della sua visita il regno umano in Egitto doveva datare 11340 anni. Anche se un gap generazionale di 25 anni, più credibile, indicherebbe 8500 anni.

Come più tardi altri popoli, gli Egiziani ritenevano di essere stati inizialmente dominati direttamente dagli Dei. Una credenza abbastanza comune alla fine del neolitico, quando essere assoggettati dagli Dei era un'opinione diffusa tra le popolazioni che venivano sottomesse dalle tribù straniere dotate delle nuove tecnologie metallurgiche (credute poteri magici).

Erodoto sembra credere al racconto dei sacerdoti, anche se questi un po’ di maquillage devono averlo fatto. Che il sole abbia invertito il suo corso quattro volte durante quegli undicimila anni (come riferito dai sacerdoti), è difficile da mandar giù, così come che le statue di legno potessero resistere tanto tempo senza marcire. D’altra parte, quale prete non fa un po' di reclame alla propria religione?

Per il momento, però, trascuriamo la precisione dei numeri e andiamo al punto: secondo Erodoto, gli Egiziani credevano di essere incredibilmente antichi e di essere stati inizialmente dominati dagli Dei in persona.

Questa eccezionale antichità era accettata anche dai popoli con cui erano in contatto (Greci compresi) e qualunque leggenda riguardante le loro origini avrebbe dovuto rispettare questa credenza.

Novemila o novecento?

D'altra parte, una delle cose più difficili da accettare è la data di novemila anni prima di Solone. La probabilità che una tradizione possa tramandarsi oralmente per tanto tempo è praticamente nulla.

Per risultare minimamente credibile, occorrerebbe che la vicenda di Atlantide sia rimasta "scritta" per la maggior parte di quei novemila anni. Ad esempio scolpita su di un monumento, di cui però non abbiamo traccia (si noti che l'assenza di riferimenti vale nel caso in cui l'invasione sia avvenuta durante la storia egiziana, ma non in quello in cui l'invasione abbia essa stessa originato l'Egitto).

La data è così lontana che, per rendere più credibile la leggenda di Atlantide, alcuni autori moderni invocano un errore di scrittura ed interpretano il lasso di tempo in novecento anni (o in novemila mesi) giungendo così ad un’epoca più recente (in corrispondenza, per esempio, dell’eruzione di Santorini).

Il fatto è che la trascrizione recita novemila anni in entrambi i Dialoghi, richiedendo che l’errore sia stato ripetuto scientemente. L'altra obiezione è che novecento anni renderebbero la leggenda più credibile per noi, ma meno per i Greci. E Platone non voleva convincere i posteri, ma i suoi concittadini (a istaurare la Repubblica e farsi governare da lui), i quali credevano che gli Egiziani fossero antichissimi.

Ancora più incredibili sarebbero novecento anni in bocca al sacerdote egiziano. Prendendo alla lettera la cronologia di Manetone, la nascita dell’Egitto risalirebbe a più di trentamila anni fa. È vero che tale cronologia è arrivata a noi soprattutto attraverso Flavio Giuseppe, che aveva un interesse personale a dilatarla, ma da trentamila a novecento ce ne passa: i quasi trecento faraoni del regno unificato d'Egitto avrebbero regnato in media solo tre anni. E perché mai un sacerdote avrebbe minimizzato l'antichità della sua religione? Tutto questo senza tenere conto che, a prescindere dalle tradizioni egiziane, dal punto di vista dei reperti archeologici, all’epoca di Solone Sais aveva già almeno quattromila anni [3].

In altre parole, non è plausibile pensare che Platone abbia in origine scritto novecento, divenuti poi novemila per un errore di trascrizione. È di certo possibile che il filosofo si sia inventato la storia di sana pianta, o che abbia preso spunto da disastri di cui era venuto a conoscenza (eruzione di Santorini?), ma nel costruire la leggenda l’avrebbe collocata in un periodo temporale coerente con la cronologia allora in voga, sia tra i Greci che tra gli Egiziani. Senza preoccuparsi troppo dei requisiti di credibilità richiesti dagli autori di oggi.

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[1]. Erodoto, Libro IV,

184) Ad altri dieci giorni di cammino dai Garamanti ci sono una collina di sale e una sorgente; attorno vi abitano uomini che si chiamano Ataranti: che sono gli unici uomini al mondo, a nostra conoscenza, a non avere nomi personali; tutti assieme si chiamano Ataranti, ma individualmente non hanno nomi. Maledicono il sole, quando picchia forte, e oltre a maledirlo pronunciano al suo indirizzo tutte le imprecazioni possibili, perché con il suo ardore li sfinisce, loro e la loro terra. Dopo dieci ulteriori giorni di marcia, altra collina di sale, altra sorgente e altri uomini stanziati intorno a essa. Poco oltre si innalza il monte chiamato Atlante. L'Atlante è un monte stretto e arrotondato su ogni versante, ma tanto alto che le sue vette, pare, non si possono nemmeno vedere: non sono mai sgombre di nubi, né d'estate, né d'inverno; a sentire gli abitanti del luogo, l'Atlante è la colonna che sorregge la volta celeste. La popolazione ha derivato il suo nome da quello del monte: si chiamano infatti Atlanti. Affermano di non cibarsi di alcun animale e di non sognare.

185) Fino agli Atlanti sono in grado di elencare i nomi dei popoli stanziati nel ciglio sabbioso, oltre non più; ma la zona di sabbia si estende fino alle colonne d'Eracle e oltre. In tale regione si trova una miniera di sale ogni dieci giorni di viaggio e uomini stanziati; tutte queste genti si costruiscono abitazioni con blocchi di sale; si tratta già di zone della Libia prive di piogge: in effetti i muri fatti di sale non resterebbero in piedi se vi piovesse. Il sale estratto dal suolo si presenta di colore bianco o rosso. Al di là di questa striscia di territorio, verso il sud e l'interno della Libia, il paese è un deserto senz'acqua, senza animali, senza pioggia e alberi, senza la minima traccia di umidità.

186) In sostanza fino alla Palude Tritonide i Libici sono nomadi che si cibano di carne e bevono latte, che si astengono rigidamente dalle femmine dei bovini, per la stessa ragione degli Egiziani, e che non allevano maiali. Neanche le donne dei Cirenei considerano lecito mangiare carne di vacca: se ne astengono in onore dell'Iside egiziana; per questa dea anzi osservano digiuni e celebrano feste. Le donne di Barca evitano di consumare carne di vacca e anche carne suina.


[2]. Erodoto, Libro II,

142 1) Fino a questo punto della mia storia mi hanno raccontato gli Egiziani ed i loro sacerdoti. Essi mi dimostrarono che, dal loro primo re fino a questo sacerdote di Efesto, che regnò per ultimo, corsero trecentoquarantuno generazioni, e che in questo periodo vissero altrettanti grandi sacerdoti e re. 2) Trecento generazioni in linea maschile portano a diecimila anni, perché tre di queste generazioni coprono cento anni; e le rimanenti quarantuno generazioni che si aggiungevano alle trecento danno mille e trecentoquarant’anni. 3) Così essi venivano a dire che in undicimila e trecentoquarant’anni non c’era stato nessun Dio in forma umana. Non solo. Ma negavano che alcunché di simile fosse avvenuto prima e dopo fra i re che continuarono a susseguirsi in Egitto. 4) Aggiunsero che durante questo periodo il sole cambiò quattro volte il suo oriente: levandosi due volte dove ora tramonta e tramontando due dove ora sorge, senza che nell’Egitto avvenisse alcun mutamento, né nella vita agricola, né nei sui fenomeni fluviali, né per le malattie, né per le morti.

143 1) Quando lo scrittore Ecateo espose a Tebe la sua genealogia, ricollegando la sua stirpe ad un Dio come sedicesima generazione, i sacerdoti di Zeus fecero con lui come più tardi fecero con me, ma io non esponevo la mia personale genealogia. 2) M’introdussero nell’interno del tempio, che è vasto; e mi mostrarono, enumerandole, ingenti statue di legno in quel numero che ho detto. Perché ogni gran sacerdote fa nella sua vita erigere qui la propria immagine. 3) Mostrando ed enumerando i sacerdoti mi fecero vedere che ciascuno era figlio di un padre compreso nella serie; e percorsero tutte le statue, cominciando dal morto più recente, fino a che non le mostrarono tutte. 4) Ad Ecateo, che aveva esposto la propria genealogia e che si ricollegava ad un Dio nella sedicesima generazione, avevano essi con questa enumerazione opposta un’altra genealogia, respingendo la sua affermazione che da un Dio fosse nato un uomo. Gli opposero questa genealogia come segue. Gli affermarono che ciascuna delle statue colossali rappresentava un piromis nato da un piromis , e dimostrarono questa discendenza da piromis a piromis per tutte le trecentoquarantacinque statue, senza collegarle né a un Dio né a un Eroe. Piromis corrisponde al valent’uomo della lingua ellenica.

144 1) Così fecero vedere che tutti coloro che erano rappresentati dalle immagini erano siffatti, e assi diversi dagli Dei; 2) mentre prima di questi uomini quelli che regnavano in Egitto erano Dei che vivevano insieme agli uomini, ed era sempre uno di loro che deteneva il potere. Avrebbe regnato per ultimo, sul paese, Horo figlio di Osiride, che gli Elleni chiamavano Apollo. Egli avrebbe, dopo aver deposto Tifone, regnato per ultimo sull’Egitto. Osiride corrisponde in lingua greca a Dioniso.


[3] Penelope Wilson, The Survey of Sais (Sa el-Hagar), 1997-2002, Excavation Memoir 77, Egypt Exploration Society, London 2006.


Pubblicato il 31 marzo 2009; ultima modifica il 19 gennaio 2018.

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