Il succo della storia riportato nel capitolo precedente riassume soltanto le informazioni utili per localizzare la posizione geografica di Atlantide. Ma Platone scrisse i dialoghi principalmente per propaganda politica: dimostrare la perfezione della sua utopica Repubblica, basata sul sistema politico dell’Atene arcaica, e convincere i concittadini ad adottarla. Perciò i dialoghi sono infarciti di minuzie riguardanti l’organizzazione dello stato scomparso, particolari ovviamente irrilevanti al fine di un’eventuale localizzazione.
Prendere alla lettera le parole di Platone è innanzi tutto azzardato per il suo modo di ragionare [1]. Inoltre, essendo un discendente dei primi re di Atene per parte di padre, ed imparentato con Solone per parte di madre, aveva validi motivi per magnificare la nobiltà e le virtù guerriere dei fondatori della città. Senza dimenticare che la sua Repubblica ideale era governata dai filosofi e, guarda caso, lui era un filosofo. Insomma, sembra evidente che Platone abbia scritto la storia di Atlantide per celebrare i propri antenati e reclamizzare la propria utopia politica.
Rimane soltanto un dubbio: inventò tutto di sana pianta o modificò una leggenda preesistente, innestando nella trama i particolari utili alla propaganda? La tecnica di modificare storie reali (o credute tali), inserendo parti inventate è diffusa e consolidata tra gli uomini. Aiuta a far passare per buone le proprie balle. Esempi ce ne sono tanti: l’Eneide e l’Orlando Furioso, per citare due casi illustri, modificarono delle leggende popolari per glorificare il casato del committente [2]. Potrebbe essere anche il caso di Atlantide?
L'ostacolo principale a questa ipotesi è l’apparente assenza nella letteratura egiziana, di riferimenti a una vicenda che li avrebbe riguardati tanto da vicino.
La reticenza a scolpire nella pietra le proprie sconfitte è comprensibile, ma la guerra con Atlantide e la sua distruzione catastrofica sembrano due episodi veramente memorabili. È difficile pensare che non abbiano meritato un cenno nella loro vasta letteratura.
A meno che il riferimento non sia invece da cercare agli albori della loro civiltà: gli egiziani infatti pensavano che la nascita del loro Stato (e della civilizzazione) fosse stata la conseguenza di un'invasione di divini conquistatori provenienti da occidente.
L'argomento è suggestivo ed ha un'evidente conseguenza logica: l'analisi della congruenza temporale. Per essere conquistato da Atlantide, l'Egitto doveva per lo meno esistere: chi c'era in Egitto al tempo invocato da Platone?
Ma prima di provare a rispondere a questa domanda, vediamo quel che scrissero Diodoro ed Erodoto su Atlantide.
[1] Per avere un’idea del suo modo di argomentare, di seguito viene riportato il paragrafo finale del Timeo (l’evoluzione delle specie, secondo Platone).
La stirpe degli uccelli, che possiede penne anziché peli, è derivata dalla trasformazione di quegli uomini che, non certo malvagi ma un po' sciocchi, si ritengono esperti delle cose celesti e pensano, a causa della faciloneria che li contraddistingue, che la sola vista sia sufficiente a dimostrare nel modo pìu sicuro quelle cose.
Gli animali pedestri e selvaggi sono derivati da quegli uomini che non coltivano affatto la filosofia, e non osservano per nulla la natura celeste, perché non si servono affatto dei circoli che sono nella testa, ma si lasciano guidare dalle parti dell'anima che sono nel petto. E per queste abitudini curvarono a terra le membra anteriori e la testa, attratti dall'affinità con la terra, ed ebbero teste allungate e dalle forme più varie, a seconda di come le rivoluzioni dell'anima di ciascuno erano state compresse dall'inerzia. Perciò quella specie di animali fu generata con quattro o più di quattro piedi, in quanto il Dio collocò più sostegni a coloro che erano più irragionevoli, perché fossero attirati maggiormente a terra.
E quelli che fra costoro sono più irragionevoli ancora e distendono tutto il corpo a terra, poiché non hanno alcun bisogno dei piedi, furono generati senza piedi e striscianti sulla terra.
La quarta specie, quella acquatica, si generò dagli esseri più stolti e più ignoranti di tutti: e gli Dèi, che operano trasformazioni, non ritennero questi animali degni di una respirazione pura, poiché la loro anima era impura a causa di ogni sorta di errore, e così in luogo della leggera e sottile respirazione dell'aria, li cacciarono nella torbida e pesante respirazione dell'acqua. Di qui prese origine la stirpe dei pesci, delle ostriche, e di tutti quanti gli animali che vivono nell'acqua, ed ebbero in sorte le dimore più profonde come pena per la loro profonda ignoranza.
E per tutte queste ragioni, allora come adesso, gli esseri viventi sì trasformano fra loro da una specie all'altra, a seconda della perdita o dell'acquisto della mente o della stoltezza.
[2] L'Eneide attribuisce l'origine della gens Julia (quella di Cesare e di Augusto) a Enea di Troia. Nell'Orlando Furioso, Ruggero e Bradamante sarebbero i capostipiti degli Estensi.
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