La grid parity (bozza incompleta)


Andamento dell'IRR (Internal Rate of Return : tasso interno di rendimento di un investimento) in assenza di incentivo nel caso di un impianto "tipo" da 3 kW in Scambio sul Posto. [1]

Nel 2013 è finito il Quinto Conto Energia, cioè la possibilità di ricevere un sussidio per i chilowattore prodotti con l’energia solare. Da quel momento chi istalla un impianto solare deve fare i conti coi prezzi di mercato (o quasi).

Grid parity significa pareggio con la rete, cioè produrre energia elettrica da una fonte rinnovabile allo stesso prezzo con cui può venire acquistata dalla rete elettrica.

Per valutare la convenienza di un impianto in regime di grid parity bisogna calcolare l’IRR (in italiano Tasso Interno di Rendimento) del costo dell’impianto (considerato come investimento) e non il flusso di sussidi garantito dallo stato.

Per farlo, bisogna però capire cosa sia il Valore Attuale (Present Value, in inglese), un concetto che nei paesi sviluppati si impara nelle scuole superiori, ma che da noi, grazie al sistema scolastico che il mondo c’invidia, pochi conoscono.

Per capire il concetto facciamo un esempio grossolano, i calcoli precisi li lasceremo al Politecnico di Milano. Supponiamo che Tizio e Caio vogliano istallare un impianto da 6000 euro. Ovviamente, ci sono due possibilità: che abbiano i soldi per pagarlo oppure che non ce li abbiano.

Partiamo dal caso più ovvio: Tizio non ha i soldi e se li fa prestare dalla banca, che glieli concede ad un tasso dell’8% (un valore realistico nel 2014), da restituire in dieci anni calcolando gli interessi col sistema “francese” (il più diffuso in Italia). Leggendo il piano di ammortamento Tizio scopre che dovrà restituire in tutto circa 9000 euro. In altre parole, per calcolare se l’impianto solare gli convenga o meno, questa è la cifra che deve considerare come costo dell’investimento.

Invece Caio, che i soldi ce li ha, alla banca non deve chiedere niente e conclude che l’impianto gli costerebbe 6000 euro. Sbagliato! - Gli dice l’amico che ha studiato in un paese sviluppato - Siccome comprare elettricità dalla rete non richiede alcun capitale iniziale, acquistare l’impianto solare priverà Caio del possibile reddito di 6000 euro per vent’anni (la durata dell’ammortamento dell’impianto). Immaginando un investimento in BTP al 2%, Caio rinuncerebbe a 2400 euro di interessi (che investiti a loro volta al 2% frutterebbero qualche altro centinaio di euro). Insomma anche a Caio l’impianto costerebbe quasi 9000 euro.

Fatta questa premessa e stabilito grossolanamente il Valore Attuale dell’impianto, vediamo quanto costa l’elettricità da esso prodotta. Le case di quasi tutti gl’italiani hanno un contratto da 3 kW, per cui prendiamo questo valore per dimensionare il nostro impianto. Che, guarda caso, viene oggi offerto a circa 6000 euro da diverse ditte.

Bisogna notare che quando diciamo un impianto da 3 kW, stiamo parlando di 3 kW di picco, cioè la potenza che l’apparato fornisce a mezzogiorno e senza una nuvola.

In un anno ci sono circa 9000 ore, ma il nostro impianto non potrà mai fornire 27000 kWh (cosa che l’Enel potrebbe fare). L’impianto solare da 3 kW, invece, (dipendendo dall’insolazione) darà in un anno circa 3000 kWh al nord, 3600 al centro e 4200 al sud Italia.

Un guaio? Si e no. No, perché il consumo tipico di una famiglia italiana è proprio 3000 kWh [2]. Si, perché il problema è che la famiglia italiana consuma l’energia la sera.

Trascurando questo dettaglio, possiamo fare una prima stima del costo del kWh a Roma: 9000 euro / (3600 kWh x 20 anni) = 0.125 euro/kWh. Non è male: meno di quanto paghiamo l’energia all’Enel.

Ora riconsideriamo il dettaglio: questo prezzo sarebbe valido se tutta l’elettricità consumata provenisse dal nostro impianto, il che significa non soltanto convincere la moglie a fare la lavatrice solo a mezzogiorno e quando c’è il sole, ma anche i figli a spengere la televisione la sera. Ed anche il frigo e la luce.

Poiché è evidente che nessun uomo potrà mai imporre un tale regime, bisogna accettare l’ipotesi più realistica di consumare anche la sera.

Questo impone una scelta: rimanere indipendenti, usando delle batterie da caricare durante il giorno, oppure rinunciare all’indipendenza e attaccarsi alla rete, vendendo il surplus di produzione di giorno e comprando elettricità la sera.

Nel primo caso è evidente che occorra aggiungere al costo dell’impianto quello delle batterie (che dopo un migliaio di cicli vanno anche cambiate). E, siccome oggi le batterie costano un botto, i più concluderanno che collegarsi alla rete sia l’unica possibilità viabile.

Naturalmente la convenienza dipende dal prezzo a cui si vende l’elettricità e da quello a cui la si acquista. Che non è lo stesso, dato che il nostro impianto produce elettricità quando pochi la vogliono, e che noi la vogliamo quando la vogliono tutti.

In Italia, grazie al governo che il mondo c’invidia, le tariffe di acquisto e di vendita cambiano spesso (così come il regime legislativo, fiscale e normativo degl’impianti solari) per cui un calcolo semplice, valido non soltanto nel momento in cui viene fatto, è impossibile. È meglio analizzare lo studio del Politecnico di Milano sulla convenienza di un impianto "tipo".

Tuttavia, una considerazione generale sempre valida si può fare: una volta istallato l’impianto, consumare l’energia prodotta da esso è la cosa più conveniente in ogni caso, perché il capitale è stato già speso. Questo implica che ogni abitudine che verrà cambiata, dal fare la lavatrice di giorno a spegnere luce e televisione la sera, porterà un risparmio reale netto. A cui basterà aggiungere soltanto le spese del divorzio.


Impianto "tipo" da 3 kW in regime di Scambio sul Posto [2]



[1] Politecnico di Milano, Solar Energy Report (aprile 2013), pag. 167.

[2] Politecnico di Milano, Solar Energy Report (aprile 2013), pag. 166.


Pubblicato il 19 giugno 2014; ultima modifica il 19 giugno 2014.

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