La linea di costa (bozza)             English version

Determinare la linea di costa in funzione del livello del mare sembra banale, ma non lo è. A prima vista si direbbe che sia come aggiungere acqua in un lavandino: man mano che l’acqua aumenta, il livello raggiunge un'altezza diversa. Quindi, conoscendo la forma del lavandino, si dovrebbe poter dire a quale livello corrisponda una certa quantità d’acqua.

Il concetto è giusto ma c'è un problema: a volte il lavandino si deforma. In pratica, il livello del mare non dipende soltanto dalla quantità d’acqua contenuta negli oceani (fattore eustatico), ma anche dal livello intrinseco del suolo, che può alzarsi o abbassarsi per motivi glacio-idrostatici oppure tettonici. Il risultato è che bisogna conoscere i contributi di tutti e tre i fattori.

Le terre emerse sono sostanzialmente delle zolle continentali solide che galleggiano come zattere sul mantello terrestre fluido. L’altezza del suolo di queste zolle dipende da due fattori:
a) il fattore glacio-idrostatico, dovuto al peso dei ghiacciai e dell’acqua di mare che grava sulla zolla. Che un ghiacciaio renda più pesante la zolla su cui poggia è intuitivo. Meno intuitivo è il fatto che il bordo della zolla di solito non coincida con la linea di costa, ma si estenda in mare. Ciò significa che per valutare il peso totale che grava sulla zolla, oltre ai ghiacciai, occorre considerare anche l’acqua che insiste sulla parte sommersa di zolla. Il peso complessivo, così calcolato, determina “la linea di galleggiamento” della zolla sul mantello;
b) il fattore tettonico, dovuto invece al fatto che alcune zolle si stanno lentamente infilando sotto altre. Ciò fa sì che il suolo delle prime scenda, mentre quello delle seconde salga.



Lo Strombus bubonius.

Tenere conto di tutti e tre i movimenti è complicato. Ma in certe condizioni si possono distinguere i contributi dei diversi fattori. Ad esempio, poiché sappiamo che centoventimila anni fa, durante l'ultimo interglaciale, la quantità d’acqua negli oceani fu circa la stessa di oggi, il fattore eustatico tra allora ed oggi è zero. Quindi individuando la linea di costa di allora, lo spostamento rispetto a quella di oggi si deve attribuire soltanto agli altri due fattori.

In geologia, la posizione della riva di centoventimila anni fa, corrispondente all'ultimo interglaciale, viene chiamata Marine Isotope Stage (MIS) 5.5, e viene individuata grazie ad alcuni organismi marini i quali, vivendo soltanto al livello del bagnasciuga, hanno lasciato i loro gusci per indicarcelo. Nel Mediterraneo il marcatore preferito è lo Strombus bubonius, un mollusco tropicale che vive normalmente sulle coste dell’Africa occidentale, ma che durante i caldi periodi interglaciali si spinge oltre lo stretto di Gibilterra e riesce a vivere anche nei nostri mari. La duplice caratteristica di vivere entro pochi metri dal livello del mare e di essere assente durante le ere glaciali ne fanno un testimone perfetto delle rive di centoventimila anni fa.



Generalized elevation distribution of the MIS 5.5 marker in the Mediterranean Sea. Only representative sites and site elevation (metres a.s.l.) are shown. (Ferranti et al. 2006).

La mappa di sopra mostra i punti in cui i marker del MIS 5.5 sono stati raccolti. Come si vede, lungo il delta del Nilo, nel golfo di Alessandretta ed in quello di Cadice, al momento non ci sono dei marcatori che indichino la linea di costa di centoventimila anni fa. Ciò rende il tentativo di ricostruire la geografia locale di dodicimila anni fa molto più arduo: in assenza della stima dei fattori tettonici e glacio-idrostatici, attribuire il processo di inabissamento al solo fattore eustatico sarebbe infatti azzardato.

Viceversa, lungo diversi tratti del Canale di Sicilia i marker sono stati trovati. In attesa che qualcuno trovi e pubblichi la posizione del MIS 5.5 nelle altre tre regioni sospettate di aver ospitato un precoce passaggio al neolitico, i fondali compresi tra la Sicilia e la Tunisia sono gli unici che giustifichino un’analisi più dettagliata.

Lungo le coste tunisine e libiche del Canale di Sicilia, l’altezza media del MIS 5.5 sul livello del mare attuale è contenuta in una quindicina di metri, lo stesso valore dei rilevamenti effettuati in Sicilia tra Erice e Mazara (Ferranti et al. 2006).

A Lampedusa, nel mezzo del Canale, il MIS 5.5 è proprio al livello del mare, mentre i marker lungo la costa meridionale della Sicilia non sono stati trovati, probabilmente a causa della friabilità della costa stessa che ne ha impedito la conservazione (Antonioli et al., 2006).

L'ipotesi di Antonioli è plausibile, ma potrebbe anche trattarsi di un caso di subsidenza, come sostenuto da Ferranti et al., (2006) [1]. La subsidenza significherebbe che, tra Mazara e Gela, la linea di costa dell’ultimo interglaciale non sarebbe visibile perché si troverebbe sott’acqua, essendosi nel frattempo inabissati i fondali. Di quanto? Difficile dirlo, tuttavia anche nel caso di una velocità marcata, simile a quella (opposta) della Sicilia orientale (1 mm/anno), in dodicimila anni l’inabissamento risulterebbe di dodici metri. Ciò significa che, al massimo, bisognerebbe aggiungere una dozzina di metri alle isobate da scegliere per disegnare la costa della Sicilia meridionale di dodicimila anni fa. Un errore, tutto sommato, compreso nell’imprecisione con cui siamo in grado di ricostruire il livello del mare del passato.

Diverso è il caso di Pantelleria, che è però interessata da fenomeni sostanzialmente locali. L’isola è un vulcano ed è quindi soggetta a moti propri veloci e complicati, ma la zona interessata da questi movimenti è fortunatamente limitata al vulcano stesso. L’influenza sulle zone circostanti dovrebbe diventare trascurabile man mano che ci si allontana dal perimetro vulcanico.

Dato che la Sicilia rimase priva di ghiacciai anche al massimo del freddo (fattore glacio-idrostatico nullo), questi rilevamenti indicherebbero la sostanziale tranquillità tettonica della Sicilia meridionale e della Tunisia, durante il lasso di tempo considerato.

Insomma, tranne Pantelleria e qualche eventuale vulcano sommerso, la regione del Canale di Sicilia fu idrostaticamente e tettonicamente tranquilla durante l’ultima era glaciale e la linea di costa si spostò soltanto per l'effetto eustatico.

Se negli ultimi ventimila anni il Canale di Sicilia è rimasto sostanzialmente stabile possiamo ricostruire le antiche linee di costa usando solo la mappa batigrafica. Perché, come avrebbe detto monsieur de la Palisse, quando il livello mare fu tot metri più basso, tutto ciò che era meno profondo di tot metri era emerso.

È un sollievo, ma rimane il passo più delicato: quale isobata scegliere? Fairbanks (1989) e Bard (1990), tra i primi a documentare il Melt Water Pulse 1b, stimano che prima dell'impulso il livello del mare ai Caraibi fosse una sessantina di metri al di sotto di quello di oggi.

In seguito Lambeck (2004) ha elaborato un complesso modello geologico valido per l’Italia, giungendo alla conclusione che il livello del mare Mediterraneo, prima del MWP-1b, fu di settanta metri più basso di oggi [3]. Anche Lambeck ritiene probabile la subsidenza del bordo meridionale della Sicilia, un fattore che, in prossimità della costa, potrebbe aggiungere al valore stimato dei fondali anche una decina di metri (portando a meno ottanta metri il valore dell’isobata da scegliere).

In attesa di eventuali correzioni future e che il progetto europeo EMODnet [4] produca dati migliori, quota novanta della mappa batimetrica del Canale di Sicilia è comunque una discreta approssimazione per avere un'idea della linea di costa di quattordicimila anni fa, quando arrivò la prima ondata di caldo.

Cum grano salis, la figura qui sotto mostra delle caratteristiche intriganti che rimarrebbero tali anche qualche millennio dopo, e che saranno l’argomento del capitolo seguente.


Il canale di Sicilia poco dopo il MWP-1a. Ricostruzione ottenuta ponendo la linea di costa a -90 m sulla mappa batimetrica della Marina Italiana.


Note.


[1] Summary of the vertical tectonic behaviour of peninsular and insular Italy deduced from the elevation of the MIS 5.5 marker, and of the spatial relation of the vertical motion domains (yellow italic notations) with the domains of fast versus slow geologic to contemporary horizontal displacement (white bold notations) both within and at the boundaries of the Adriatic block (thin and thick dashed white lines, respectively, drawn from Fig. 5b. The average vertical displacement rate is contoured at a 0.2 mm/a interval (positive: dashed red line; stable: solid green line; negative: dotted blue line); dots with different colour fill identify sites uplift rate ranges. Also portrayed is the relation of the tilt pattern of the MIS 5.5 marker (large arrows: blue for subsidence and red for uplift) with recent thrust activity (yellow lines). (da Ferranti et al., 2006).

[3] Molto recentemente (2014) Lambeck, riepilogando una gran mole di misure, effettuate negli oceani Indiano e Pacifico, ribadisce che la variazione, dovuta al fattore eustatico, rispetto a dodicimila anni fa, dovrebbe essere di una settantina di metri. Tuttavia, la zona di raccolta delle misure (agli antipodi del Mediterraneo), la possibilità di deformazioni del geoide terrestre e, soprattutto, la non evidenza del MWP 1b in quella parte del mondo (contrariamente al MWP 1a, ben visibile sui dati), non aggiunge molto a quanto già noto.

[4] http://www.emodnet.eu/bathymetry

Bibliografia.

Antonioli, F., S. Kershaw, P. Renda, D. Rust, G. Belluomini, M. Cerasoli, U. Radtke, S. Silenzi. (2006) Elevation of the last interglacial highstand in Sicily (Italy): A benchmark of coastal tectonics. Quaternary International 145–146, pp. 3–18.

Bard, Edouard, Bruno Hamelin, Richard G. Fairbanks & Alan Zindler, Calibration of the 14C timescale over the past 30,000 years using mass spectrometric U-Th ages from Barbados corals. Nature 345, 31 may 1990, 405-410.

Fairbanks, Richard G., A 17,000-year glacio-eustatic sea level record: influence of glacial melting rates on the Younger Dryas event and deep-ocean circulation Nature 342, 637-642 (07 December 1989).

Ferranti L., F. Antonioli, B. Mauz, A. Amorosi, G. Dai Pra, G. Mastronuzzi, C. Monaco, P. Orrù, M. Pappalardo, U. Radtke, P. Renda, P. Romano, P. Sansò and V. Verrubbi. (2006) Markers of the last interglacial sea-level highstand along the coast of Italy: tectonic implications. Quaternary International 145-146, pp. 30–54.

Lambeck, Kurt, Fabrizio Antonioli, Anthony Purcell, Sergio Silenzi; Sea-level change along the Italian coast for the past 10,000 yr. Quaternary Science Reviews 23 (2004) 1567–1598.

Lambeck, Kurt, Hélène Rouby, Anthony Purcell, Yiying Sun, and Malcolm Sambridge, Sea level and global ice volumes from the Last Glacial Maximum to the Holocene. 15296–15303, PNAS, October 28, 2014; vol. 111, no. 43.


Pubblicato il 4 dicembre 2011; ultima modifica il 21 marzo 2017.

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